martedì 3 marzo 2015

Penali si, penali no...


Il  dilemma della penale per il recesso anticipato.
Potremmo chiamarlo un ouròboros, ovvero, un eterno ritorno!
Già, perché, col Ddl concorrenza 2015 vengono di fatto reintrodotte le penali per la disdetta anticipata del contratto di telefonia. Se il ddl dovesse diventare legge – e ci auguriamo di no - i consumatori potrebbero pagare anche più di 100 euro per il recesso anticipato. Recita, infatti, l’art. 16 che: “Nel caso di risoluzione anticipata le spese devono essere eque e proporzionate al valore del contratto”. Andiamo bene! Il ministero dello Sviluppo economico si è affrettato a precisare che non verrà reintrodotta nessuna penale, ma la vicenda già puzza di sola tutta all’italiana.
Nel 2007 la legge Bersani per disciplinare la concorrenza aveva sancito l’abolizione delle penali per la disattivazione delle linee. La legge n. 40/2007, che ha convertito, con modifiche, il Decreto Legge n. 7/2007, all’art. 1, comma 1, prevede infatti che “Al fine di favorire la concorrenza e la trasparenza delle tariffe, di garantire ai consumatori finali un adeguato livello di conoscenza sugli effettivi prezzi del servizio, nonché di facilitare il confronto tra le offerte presenti sul mercato, è vietata, da parte degli operatori di telefonia, di reti televisive e di comunicazioni elettroniche, l’applicazione di costi fissi e di contributi per la ricarica di carte prepagate, anche via bancomat o in forma telematica, aggiuntivi rispetto al costo del traffico telefonico o del servizio richiesto. E’ altresì vietata la previsione di termini temporali massimi di utilizzo del traffico o del servizio acquistato. Ogni eventuale clausola difforme è nulla e non comporta la nullità del contratto, fatti salvi i vincoli di durata di eventuali offerte promozionali comportanti prezzi più favorevoli per il consumatore”.
Il comma 3 del medesimo art. 1, inoltre, prevede che “I contratti per adesione stipulati con operatori di telefonia e di reti televisive e di comunicazione elettronica, indipendentemente dalla tecnologia utilizzata, devono prevedere la facoltà del contraente di recedere dal contratto o di trasferire le utenze presso altro operatore senza vincoli temporali o ritardi non giustificati e senza spese non giustificate da costi dell’operatore e non possono imporre un obbligo di preavviso superiore a trenta giorni.
In verità, i gestori telefonici avevano sempre aggirato la norma, continuando di fatto a imporre i famosi "contributi di disattivazione" che in bolletta sono indicati come “importo per dismissione; costo per attività di migrazione”ecc., ostacolando così il recesso da parte dei consumatori. E suddetto recesso può arrivare a costare (illegittimamente) dai 30 ai 100 Euro.
L’Agcom, autorità garante delle telecomunicazioni, sollecitata dai consumatori, è più volte intervenuto sul punto con diverse delibere, qui sotto elencate:
Nella sostanza, come si evince dal tenore letterale dei vari provvedimenti adottati dall’Autorità: “secondo l’orientamento giurisprudenziale ormai consolidato (ex pluribus, Cass. Civ., sez. III, 17 febbraio 2006) l’emissione della bolletta non costituisce un negozio di accertamento, idoneo a rendere certa ed incontestabile l’entità periodica della somministrazione, ma solo un atto unilaterale di natura contabile diretto a comunicare all’utente le prestazioni già eseguite secondo la conoscenza ed il convincimento dell’operatore telefonico; resta dunque rettificabile in caso di divergenza con i dati reali. Tanto premesso, sussiste in capo all’operatore l’onere di provare l’esattezza dei dati posti a base della fattura nel caso di contestazione del suo ammontare da parte dell’utente (Cass. Civ. sez. III, 28 maggio 2004, n. 10313), la società XXX avrebbe dovuto dimostrare l’equivalenza degli importi fatturati a titolo di recesso ai costi effettivamente sostenuti per la gestione della procedura di disattivazione, in conformità a quanto previsto dall’articolo 1, comma 3, della legge n.40/2007”.

Ma vi è di più.

Eventuali costi di disattivazione posti a carico dell’utente, in assenza di prova contraria, sono del tutto ingiustificati, con esclusione dei soli costi di gestione pratica valutati, all’esito dell’istruttoria svolta da questa Autorità, rispettivamente in Euro 10 (Ricaricabili e Abbonamenti residenziali) ed Euro 14,00 (Abbonamento Business) del gestore XXX”.

In breve: può essere richiesto all’utente il pagamento di somme che siano giustificate da costi che l’operatore sopporta per le attività pertinenti al recesso. L’operatore deve quindi motivare e giustificare i costi addebitati per il recesso anticipato. Costi che devono essere congrui e contenuti. Costi che sono BEN LONTANI dalle penali avanzate dai gestori telefonici
In base all’interpretazione della legge, seguita dall’Autorità nei propri provvedimenti e confermata dal giudice amministrativo, i costi che l’operatore può richiedere in sede di recesso anticipato sono soltanto quelli strettamente connessi alle attività necessarie alla lavorazione del recesso, secondo principi economici di causalità e pertinenza.

Ad oggi non esiste un elenco dei costi giustificati per il recesso, quindi, nel caso il consumatore non ritenga congrua e motivata la somma richiesta dal proprio operatore, può presentare un reclamo scritto al gestore chiedendo di giustificare dettagliatamente gli importi addebitati.
Qualora il reclamo non vada a buon fine (per esempio perché l’operatore non risponde o perché, pur rispondendo, non fornisce una convincente giustificazione degli addebiti), l’utente per tutelare i propri interessi instaurando un contenzioso con l’operatore e/o può segnalare la vicenda all’Autorità con il modello D per l’avvio di un eventuale procedimento sanzionatorio nei confronti dell’operatore.

Diciamoci la verità: questo Ddl 2015 non suscita molto entusiasmo per molteplici aspetti e ci auguriamo di non rivedere, come ciliegina di una terribile torta, il ritorno in vigore delle penali da recesso anticipato!